Il Femonazionalismo e le salvatrici bianche
Le immagini di questi giorni di donne disperate che chiedono aiuto e la preoccupazione per la condizione delle bambine in Afghanistan, diventate bottino di guerra, ha portato tutte noi a interrogarci sul destino delle donne afghane, ci sentiamo tutte vicine ed empatizziamo con la loro condizione.
Ne ho parlato a lungo con amiche femministe e non, italiane, pakistane e indiane e i punti di vista sono diversi e variegati ma c’è un aspetto che spesso da italiane e da europee in generale non riusciamo a comprendere ed è il significato del velo. Può il velo essere femminista?
Il tema è complesso, richiede un’analisi approfondita e la capacità di comprendere un fenomeno religioso — e quindi con una sua dimensione storica, culturale e sociale — che ha mutato di forma e di significato nel tempo.
Spesso invece il velo è trattato con superficialità e un’anomala attenzione feticistica che ne ha fatto in Europa, il simbolo per definizione dell’oppressione della “donna musulmana”, icona di un Islam immaginato, temuto quanto sconosciuto. Il velo sul capo delle donne appartiene anche alle culture europee, ebraiche, cristiane e greco romane (Muzzarelli 2016), benché rimosso.
Il Femminismo radicale, critica da sempre la scelta del velo, perché visto come simbolo di oppressione dell’uomo e della religione verso la donna. Questo concetto è figlio però di “vecchie” battaglie per la liberazione della donna in una società prettamente bianca e cattolica, in cui l’appropriazione del proprio corpo si ottiene scoprendosi. Scoprirsi è diventato nei decenni un segno di liberazione della donna che esce così dall’ordine costituito da anni di imposizioni maschiliste che la volevano pudica e casta.
Ma se una donna oggi sceglie di sua spontanea volontà di coprirsi, non è libera di farlo?
Per molti una donna che sceglie di coprire il capo viene vista come plagiata dalla sua cultura maschilista che impone di non mostrarsi.
La vede cosi il Femonazionalismo, un fenomeno usato da parte dei partiti di destra (e non solo) che rivendica l’uguaglianza di genere, per portare avanti politiche islamofobe e razziste.
In questo caso, l’uomo viene visto come invasore straniero maschilista che impone alle donne di coprirsi, mentre la donna musulmana è una semplice vittima da liberare.
Ma quando una donna bianca occidentale critica la scelta di una donna non occidentale sul suo modo di vestirsi e di vivere vi è un imposizione che porta a considerare che il mondo occidentale sia superiore a quello islamico. Questo significa che l’integrazione passa solo attraverso l’assimilazione di pratiche occidentali?
Esiste una cultura dominante, occidentale e colonizzatrice, atta ad imporsi sulle altre e il velo è uno dei simboli più palesi che dimostra, per chi sostiene il Femonazionalismo, l’incompatibilità tra occidente e Islam.
È chiaro dunque che il Femonazionalismo è l’opposto del Femminismo inclusivo e intersezionale, dove le donne possono e devono scegliere come essere, cosa indossare, come vivere. E bisogna semplicemente rispettarlo.
Il Femminismo della quarta ondata, quello attuale, impone infatti la decostruzione di tutte le gerarchie e supremazie imposte dalla società patriarcale: non vi è alcuna cultura superiore all’altra, né un genere superiore all’altro, né un orientamento sessuale, né una classe sociale, né una religione, né un’ etnia. Accoglie e include tutte le diversità come ricchezza, senza doverle uniformare e neutralizzare ad uno standard predefinito, creando così lo stereotipo.
Si ristabilisce così la libertà di scelta, tutte le differenze esistenziali vengano portate allo stesso livello, tutelando i diritti di tuttə.
In un mondo occidentalizzato in cui la donna deve essere sexy ma non volgare, magra ma con le curve al punto giusto, giovanile ma non (troppo) rifatta, in cui debba essere prodotto e consumatrice per il capitalismo, il velo da’ fastidio perché va contro tutto questo, perché indossarlo può liberare una donna dallo stereotipo imposto dalla cultura occidentale predominante.
Inoltre se presupponiamo che tutte le donne con il velo siano oppresse, sminuiamo la scelta di quelle che vogliono indossarlo, come se non potessero pensare con la loro testa.
Questo rafforza una struttura di potere occidentale da sradicare alla radice, dove le paladine bianche strappano il velo di dosso alle donne musulmane, perchè da sole non possono liberarsi, senza chiedere loro se si sentono effettivamente oppresse.
Vivere una “sottomissione”, reale o meno, è una questione che ogni donna deve affrontare da sola, attraverso processi di rinegoziazione dell’identità che ognuno di noi crea tra appartenenze e scelte di vita.
Di femministe in Medio Oriente che quotidianamente mettono a repentaglio la loro vita ce ne sono tantissime e non hanno bisogno del nostro punto di vista da colonizzatrici bianche per liberarsi o aiutare a liberare le loro sorelle.
In questo rimando alla lettura dei libri di Elif Shafak, o seguire attiviste come Selay Ghaffar, Rojda Felat, Yanar Mohammed. E alle centinaia di donne che presero parte all Primavera Araba
Spetta a loro decidere che significato dare al velo, noi non possiamo fare altro che combattere per la libertà di scelta per tuttə.
Per ulteriori approfondimenti:
“Feminism and Nationalism in the Third World” di Kumari Jayawardena